Tutto l’alcol di The Irishman
Dipingere case di rosso
Ci sono voluti anni per fare questo film, ma alla fine Martin Scorsese ce l’ha fatta. Di studios in studios, copione sotto il braccio, alla fine è stata Netflix a fornirgli soldi (parecchi, pare oltre cento milioni) e libertà per realizzare le vicende raccontate da Charles Brandt in un libro del 2004, I Heard You Paint Houses. E se Russell Bufalino (Joe Pesci) ha sentito – fedelmente al titolo – che Frank Sheeran (Robert De Niro) “dipinge case” è perché Frank le case le dipinge sul serio, nel gergo della mala ovviamente. Ma il rosso del sangue con cui tinge i muri non è l’unico che compare nelle oltre tre ore di proiezione: c’è anche il vino, come si racconta su Wine Spectator.
Il Gallo Nero
Dimenticatevi la Napa Valley, il cabernet e i vini della Gallo. E dimenticatevi anche i pretenziosi calici da degustazione. Al Villa di Roma Restaurant di Philadelphia, alla fine degli anni Cinquanta, l’unico gallo ammesso era quello nero del Chianti Classico, e i bicchieri erano quelli da consumo in famiglia. Anche se una intera vita trascorsa negli States lo ha “leggermente” privato della cadenza sicula, Russell rimane abbarbicato alle sue radici italiane: “io sono di Catania“, giura orgoglioso nella sua lingua madre (il vero Russell, però, era della provincia di Caltanissetta) mentre cena al tavolo con Frank. E siccome doveva essere difficile, in quel decennio, procurarsi generose quantità di buon vino della sua regione, via di Toscana, più attrezzata e disponibile a fare arrivare le sue bottiglie dall’altra parte dell’Atlantico. Si spiega così, e con la mania per i dettagli di Scorsese, l’inquadratura sul Castello di Gabbiano, annata 1948. Niente roba californiana dunque per quegli ex bravi ragazzi.
Etichette fedeli
Secondo Joel Weawer, che per The Irishman si è occupato dell’acquisto degli oggetti di scena, i Bufalino “hanno una tradizione radicata da europei, non avrebbero mai bevuto vino californiano in un ristorante italiano degli anni Cinquanta“. Niente, poi, si sarebbe abbinato in maniera peggiore di un estroso vino di Napa al carattere dimesso e silenzioso di Russell, un Joe Pesci assai diverso dall’esagitato e crudele Tommy De Vito del film del 1990. Il perché del Castello di Gabbiano? Merito di Joel Henrie, addetto al product placement del film, e dei suoi contatti con la Treasury Wine Estate, che di Castello di Gabbiano è proprietaria. Il fatto che la cantina non operasse ancora in quegli anni non ha scoraggiato né Joel né la TWE: dopo avere contattato gli esperti di History for Hire, una società di design di oggetti di scena di Los Angeles, partendo dalle vere etichette, ne sono state create di apposite, compatibili con l’epoca. Da allora il gallo nero del Chianti fa capolino più volte durante il film, declinato su annate diverse, vero e proprio segnatempo degli anni che trascorrono durante le oltre tre ore di proiezione. Ecco allora comparire la vendemmia 1955, e poi la 1962.
Non solo Chianti
Niente Napa, allora? Non esattamente. Quando il contesto lo richiede, la California fa capolino. Durante la Frank Sheeran Appreciation Night, il galà ad alto voltaggio emotivo organizzato in onore di Frank, al tavolo di Russell, Tony “Pro” Provenzano e Anthony “Fat Tony” Salerno fa bella mostra di sé una bottiglia di Charles Krug Napa Riesling. L’etichetta, manco a dirlo, era esattamente la stessa della storica cantina californiana, così come veniva venduta negli anni Settanta.
Una bottiglia di rum
Fedelmente al suo pedigree irlandese, poi, sul carrello da bar di casa Sheeran non manca il whiskey Jameson, assieme allo scozzese Glenlivet, anche loro perfettamente fedeli al periodo. Così anche le bottiglie di birra Budweiser, destinate a cambiare etichetta a seconda degli anni. E se Jimmy Hoffa non ama bere, né vedere altri che lo facciano davanti a lui, è sufficiente imbottire un’anguria con una bottiglia di rum. Bacardi, ovviamente, che alla faccia di Castro era scampata alla rivoluzione e in quel periodo già produceva a tutto spiano tra Porto Rico e il Messico. Una scelta che potrebbe sembrare intenzionale negli anni della baia dei porci e della crisi dei missili, ma che in realtà origina dall’impossibilità, per Weaver, di recuperare una etichetta di Havana Club fedele al decennio.
Macchie di vino
Spietato, irreprensibile, determinato, il Frank Sheeran di Scorsese è solo sfiorato dal senso di colpa; il rovello lo tocca appena. Eppure, l’uomo che secondo Brandt avrebbe ucciso Jimmy Hoffa a sangue freddo, secondo i veri verbali dell’epoca era assai diverso. La passione per il vino, no. Quella era vera. “Sparava un sacco di stronzate, te lo garantisco – dirà un conoscente ai federali – le uniche cose che è mai stato in grado di fare fuori erano le innumerevoli brocche di vino rosso. Potevi dedurre quanto fosse ubriaco dal colore dei suoi denti: se erano rosa, doveva avere appena cominciato; se viola, ci era andato giù pesante”. Vero? Falso? La morte di Jimmy Hoffa rimane ancora oggi un mistero. A noi rimane il ricordo di un grande film, da vedere davanti a una buona bottiglia di vino. Italiano, ovviamente.
Gherardo Fabretti