AIS Puglia
La sede AIS in Puglia e le sue delegazioni
Il territorio
Trulli e barocco leccese, olivi ordinati in terreni delimitati da bianchi muretti a secco e acque turchesi, sono le immagini immediate di questa penisola affacciata sul Mare Mediterraneo, cerniera naturale tra l’Occidente e l’Oriente. La Puglia è stata per millenni un crocevia di culture e costumi, tradizioni e scambi commerciali, che hanno lasciato un segno indelebile nel suo patrimonio vitivinicolo e gastronomico.
- 7 Delegazioni regionali
- 3.300 Soci iscritti
- 50 Corsi ogni anno
- 80 Eventi regionali
- 10.000 Bottiglie stappate
- 500 Nuovi sommelier ogni anno
La Puglia e il vino
Il vigneto pugliese occupa 86.711 ettari e si distribuisce soprattutto in pianura (70%) e in collina (29.5%). Recentemente la produzione di vino mostra un leggero, progressivo calo e nel 2013 è stata di circa 4.965.000 ettolitri di vino – DOP per il 4.9% e IGP per il 22.4% – 2/3 dei quali rossi e rosati ottenuti soprattutto da negroamaro, primitivo e uva di Troia. Tuttavia, nell’ultimo decennio i vini bianchi hanno guadagnato terreno, in particolare quelli prodotti da verdeca, bombino bianco, bianco d’Alessano, malvasia bianca, fiano, minutolo e chardonnay.
Il negroamaro (18.5%), forse portato in Puglia dagli antichi Greci, è il vitigno a bacca nera che domina le vigne pugliesi, soprattutto nelle province di Brindisi e Lecce. Le uve maturano tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, e danno vini rossi dai colori intensi, con profumi di rosa, amarena, prugna, liquirizia e tabacco, a volte accompagnati da toni speziati e balsamici. Morbidi ma austeri, sono sostenuti da un tannino di bella eleganza, che dona un piacevole finale appena amarognolo. I rosati sono molto apprezzati per le stupende tonalità rosa corallo e per i fini sentori di rosa e oleandro, melagrana e frutti a bacca rossa, rabarbaro e macchia mediterranea, oltre che per il corpo e l’equilibrio.
Il sangiovese (17.5%) è molto diffuso in tutte le aree della Puglia, ma dà vini generalmente di scarso rilievo qualitativo.
Il primitivo (10.2%) fu portato probabilmente in Puglia dai profughi slavi tra il XV e il XVI secolo. Alla fine del ’700 è stato selezionato e coltivato in monocoltura a Gioia del Colle e così denominato per la precocità della maturazione delle uve, che avviene tra la fine di agosto e le prime settimane di settembre. La vite del primitivo è particolare perché, un mese dopo la vendemmia dei grappoli principali, consente una seconda raccolta di grappoli detti racemi – pari al 20-30% della produzione – che maturano sui tralci secondari, chiamati femminelle o vreccole. Coltivato soprattutto nel Tarantino e nel Barese, dove acquisisce finezza, equilibrio e ottima struttura, cresce bene anche nelle province di Brindisi e di Lecce, più famose per il negroamaro. I vini ottenuti da primitivo si presentano con un profondo colore purpureo, che nel tempo può sfumare in tutte le tonalità fino all’aranciato; il profilo olfattivo è dominato da spiccati sentori di ciliegia e prugna, amarena e mora, con ricordi di frutta secca e sotto spirito e note speziate, tostate e balsamiche dopo evoluzione, quando i tannini, mai invadenti, diventano ancora più vellutati. Il vino che si ricava dai racemi – rosso o rosato – è invece di pronta beva, più rustico e fresco, ma dotato di minore struttura e componente alcolica.
Il montepulciano (9.1%) fu introdotto in Abruzzo all’inizio dell’800, per approdare nel secolo successivo in provincia di Foggia e poi nelle altre zone. Utilizzato tradizionalmente per stemperare l’irruenza tannica dell’uva di Troia e del negroamaro, è talvolta impiegato in purezza specialmente nell’area centro-settentrionale della Puglia, dove dà vini di colore molto intenso, con profumi di amarena e ciliegia, anche in confettura, seguiti da cenni di cuoio e spezie dolci.
Un altro vitigno a bacca nera sul quale oggi si punta molto è l’uva di Troia (2.1%) – chiamata inizialmente uva di Canosa – così denominata dal 1875, probabilmente per richiamare la leggenda di Diomede, eroe della guerra di Troia e fondatore di molte città dell’Apulia, che avrebbe portato con sé le marze del vitigno dalla terra di origine. Ma gli studiosi non escludono che questa varietà discenda da un’antica uva locale o abbia un’origine balcanica. A maturazione tardiva, l’uva di Troia era un tempo destinata alla produzione di vini da taglio, mentre nell’ultimo decennio i miglioramenti in vigna e in cantina permettono di vinificarla in purezza o in studiati assemblaggi per ottenere vini piacevoli e originali, con profumi intensi di viola e mirtillo, mora di rovo e di gelso, che negli anni si arricchiscono di note di confettura di ciliegia, tabacco e spezie. Delicatamente freschi e con importanti nota alcolica e tannicità, questi vini sono domati dal taglio con il montepulciano e dal passaggio in barrique.
La malvasia nera (1.8%), conosciuta nelle varietà di Lecce e di Brindisi, è delicatamente aromatica, entra in molti blend con il negroamaro, ma è anche vinificata in purezza e offre vini di pronta beva e deliziosamente profumati di melagrana e lampone.
Nell’area di Castel del Monte si coltiva il bombino nero (1%), varietà particolarmente adatta alla produzione di vini rosati fragranti, freschi e sapidi. Soprattutto nei territori murgiani si produce l’aglianico (0.3%), che dà vini interessanti e più simili a quelli del Vulture piuttosto che a quelli campani.
Merlot, cabernet sauvignon, syrah, pinot nero, cabernet franc e malbech hanno una discreta diffusione e sono per lo più utilizzati in tagli come vitigni migliorativi.
Il recupero di varietà autoctone, l’inserimento di vitigni internazionali e il perfezionamento delle tecniche in vigna e in cantina hanno portato a una crescita qualitativa dei vini bianchi pugliesi.
Molto diffuso in tutte le province pugliesi, ma di limitato rilievo qualitativo è il trebbiano toscano (12.3%)
Diversi cloni di malvasia bianca (3.6%), come la malvasia bianca di Candia, la malvasia bianca lunga e alcuni antichi biotipi locali, danno vini secchi e dolci delicatamente aromatici e di buona struttura, a volte sottoposti a un breve periodo di maturazione in barrique.
La verdeca (2.1%), coltivata da secoli in Valle d’Itria, nel Salento, nel Tarantino e nel Barese, offre vini semplici, freschi e con caratteristici riflessi verdolini, come si può intuire dal nome.
Il bombino bianco (1.1%) – detto anche buonvino per la produzione abbondante – è diffuso particolarmente nel Foggiano e nella parte centro-settentrionale del Barese. Tradizionalmente utilizzato in uvaggi, oggi è sempre più spesso vinificato in purezza e, grazie alle spiccate doti di freschezza e sapidità, si esprime con piacevole finezza, soprattutto se spumantizzato con il metodo Classico.
Il pampanuto (0.4%) dona struttura e profumi fruttati ai vini bianchi della zona di Castel del Monte, ottenuti di solito assemblando diverse varietà.
La presenza del bianco d’Alessano (0.2%) nella Valle d’Itria è documentata già a partire dal 1870. Vinificato quasi esclusivamente in uvaggio, spesso con verdeca e minutolo, offre profumi fruttati, ottima struttura e sorprendente capacità di evoluzione.
Di origine campana ma coltivati in Puglia da secoli, il fiano e il greco si stanno diffondendo con risultati lusinghieri in alcuni vini IGP, ai quali offrono profumi fini, struttura e ottima freschezza, che li rendono adatti anche alla spumantizzazione con il metodo Martinotti.
Il minutolo o moscatellina è interessante per la finezza e la varietà dei profumi e per la ricca struttura, doti grazie alle quali si è diffuso con successo in diverse zone delle province di Bari, di Taranto e dell’area salentina. E’ stato recentemente riscoperto nella Valle d’Itria e inizialmente chiamato fiano aromatico per le particolari note di litchi, bergamotto, pescanoce, camomilla, biancospino e altri fiori bianchi su sfondo delicatamente muschiato, oppure fiano minutolo per gli acini piccoli e i grappoli spargoli. Recenti analisi genetiche hanno dimostrato che non ha nulla a che fare con il fiano vero e proprio, risultando più vicino al moscatello selvatico e per questo rinominato minutolo o moscatellina.
Un’altra varietà di origine campana è la falanghina, che si coltiva su piccola scala in alcune zone del sub-appennino dauno e della Murgia barese dove, in purezza o in uvaggi, dà vini freschi e delicati. Il nome curioso deriva dall’esigenza della vite – dato il portamento espanso – di essere sorretta da pali detti falanghe.
Vini di buona fattura si ottengono anche da chardonnay, sauvignon, pinot bianco e viognier, sia in purezza sia in uvaggio.
Le zone vitivinicole
Le Delegazioni di AIS Puglia
L’Associazione Italiana Sommelier è presente in Puglia con 7 delegazioni:
- Bari
- Bat – Svevia
- Brindisi
- Foggia
- Lecce
- Murgia
- Taranto