Il vino nero di Cahors
Dici Cahors e pensi ai vini rossi. Più che rossi. Neri. Il malbec, il vitigno preponderante della denominazione omonima, ha trovato enorme fama in Argentina, nella zona di Mendoza, ma anche qui in Francia, dopo alterne vicende, ha saputo ritagliarsi un proprio spazio, puntando tutto su struttura, tannini e intensi profumi.
Lungo i terreni occitani attraversati dal fiume Lot i vigneti esistono fin dalla colonizzazione romana e per secoli le imbarcazioni ne hanno navigato il corso fino a Bordeaux, dove centinaia di botti di scuro vino nei secoli passati andavano a rimpolpare il pallore dei vicini claret bordolesi. Altre partite, capaci di affrontare con maggiore successo dei vicini le ingiurie del lungo tempo necessario al trasporto, finivano sulle tavole inglesi e russe. Una capacità di resistenza dovuta anche alle originali tecniche adottate, fatte di essiccamento delle uve, al sole o al fuoco, e alla cottura dei mosti, per ottenere prodotti più alcolici e dunque di maggiore stabilità.
Nerissimi, spesso rustici, ruvidi, come le foglie di tè estratte fino allo sfinimento, i vini di Cahors riscossero comunque un invidiabile successo, almeno fino a quando i bordolesi non riuscirono a strappare dal re un privilegio importante: impedire l’arrivo dei vini di Cahors a Bordeaux (principale porto commerciale) fino a Natale, quando già la maggior parte delle vendite era stata realizzata.
La parabola del Cahors moderno prosegue lungo il Novecento. Dopo le pesanti gelate del biennio 1956 – 1957, in zona si riflette sull’opportunità di impiegare vitigni ibridi, con risultati più che discutibili. Solo l’arrivo di José Baudel cambia le cose. Baudel si era diplomato nel secondo dopoguerra in ingegneria, all’École nationale supérieure agronomique di Montpellier. Dopo avere lavorato a Carpentras, ed essersi trasferito a Bordeaux con la qualifica di direttore del Centre de l’Institut des Vins de Consommation Courante (IVCC), l’occasione di tornare a casa: la cantina cooperativa di Parnac Côtes d’Olt cerca un nuovo direttore. Baudel si dedica anima e corpo a resuscitare il Cahors originario, partendo dalla sperimentazione dei portinnesti più adatti. Da quel momento è tutto un ripiantare malbec, qui noto come auxerrois o côt, da affiancare a merlot e tannat. Il 15 aprile del 1971 arriva la AOC.
Il riconoscimento spinge i francesi a puntare maggiormente sul malbec, lavorando con dovizia sulle maturazioni e sull’utilizzo virtuoso delle botti. Alcuni si danno persino ai “carotaggi”, per comprendere meglio quali possano essere le esigenze nutrizionali delle piante e ipotizzare il migliore periodo per la vendemmia. Le viti piantate sui terrazzamenti più elevati sono considerate di qualità superiore, grazie all’altitudine, che aiuta le uve ad ottenere migliori risultati aromatici e una acidità eccelente.
A incoraggiare le sorti del Cahors contemporaneo, poi, il planetario successo del malbec in Argentina, diverso, negli esiti organolettici, da quello francese. Più alcolico, morbido, quasi marmellatoso quello del Nuovo Mondo, complice non solo l’intenso sole estivo ma anche l’abitudine dei produttori di non affiancargli alcun vitigno complementare. Al tannino velluato, all’ampio volume, agli aromi di frutta nera matura dell’argentino si oppone il corpo nervoso del francese, dal carattere più scattante, dove frutta, tannino e acidità tendono a un equilibrio virtuoso. Una distinzione, quella basata sulla presenza o meno del solo malbec, in realtà forse legata più al passato. Moltissime cantine della AOC, oggi, producono il loro vino con solo malbec, come dimostrano noti nomi quali Domaine de Lagrézette con il suo Le Pigeonnier, o Château Lamartinecon alcuni vini della collezione. Tannat e merlot, in ogni caso, continuano a essere illustri complementari in molti blend.
Per saperne di più: https://vindecahors.fr/
Gherardo Fabretti