Il Negroamaro secondo Gilles Coffi Degboe
Congratulazioni Gilles, sei il campione della prima edizione del concorso sul Negroamaro. Raccontaci, come ti sei avvicinato al mondo del vino?
Grazie mille, per me è un grandissimo onore essere il primo portavoce del vitigno in Italia ed Europa: porterò avanti questo compito con grande rispetto e dedizione.
Il mio avvicinamento al mondo del vino è cominciato in Toscana, a Rufina, nell’albergo ristorante Da Marino. Ancora frequentavo le scuole medie, e i miei genitori, essendo tanti fratelli, ci mandavano a lavorare d’estate, per poter dare un mano in casa. Io andai in questo ristorante di amici di famiglia come commis di sala; fu lì che assaggiai per la prima volta un vino. Sentivo che c’era tanto in quel bicchiere, e mi affascinava; il non capire da che cosa fosse dato tutto ciò mi infastidiva un pochino.
Ci racconti un po’ il Negroamaro? Storia, zone, caratteristiche.
Il Negroamaro è un vitigno pugliese, da sempre chiamato Lacrima o Lagrimanella provincia di Lecce,per la sua particolarità di dare l’impressione di lacrimare in fase di piena maturità. Conosciuto e chiamato da tutti Negroamaro, dall’espressione dialettale Niru Maru, nero e amaro per l’appunto, perché al palato ha sempre avuto una venatura abboccata e una chiusura leggermente amara.
Si pensa sia stato portato dai Greci provenienti dall’Iliria verso il VII secolo, ed è diffuso in tutte le province della regione. Di fatto il suo territorio di vocazione e produzione è però il Salento, dove lo si trova in diverse denominazioni di origine controllata, tra le quali le più importanti sono Salice Salentino, Alezio, Leverano, Copertino, Nardò, Matino (la più vecchia, 1971) e le più recenti Negroamaro Terre d’Otranto e Terre d’Otranto (2011).
A differenza di quello che si pensi è un vino estremamente nobile. Riesce a parlare al calice assumendo camaleontiche sfaccettature, dal metodo classico alle più recenti versioni di bianco fermo, passando per il rosato fino alla sua veste per antonomasia, quella rossa, arricchita a seconda degli stili di lavorazione della cantina di produzione.
Fin dalle prime versioni rosate, già esportate in tutto il mondo nel 1943 con Leone de Castris e il suo Five Roses, il Negramaro si è sempre accompagnato alla fedele Malvasia nera,che altro poi non è che un incrocio tra lo stesso Negroamaro e la Malvasia bianca allungata: la grande presenza di acidità (valori che oscillano dai 4 ai 9 g/l) richiama quasi in maniera naturale un fratello che regali morbidezza e doni potenziale evolutivo.
La chiave della svolta fu l’arrivo di Severino Garofano, nato nel 1935, di origini campane. Enologo giovane e talentuoso, nel 1957, con l’approdo in Puglia, riporta il vitigno a come lo si produceva una volta, con lo stile dell’appassimento sui secolari alberelli o su graticci. Nell’arco della sua carriera professionale tappezza il sud Italia (oltre che l’estero) di numerose etichette che hanno ricevuto negli anni prestigiosi premi, e che sono tuttora conosciute nel mondo come “super vini”. Prima di scomparire prematuramente, nel 2018, lascia ai suoi figli Stefano e Renata l’esperienza e la passione per il suo lavoro, e una grande rivelazione, dichiarata in una delle pochissime interviste rilasciate: “il vitigno negroamaro non ha ancora mostrato il suo vero potenziale a tutto il mondo”.
È stato molto difficile trovare materiale sui cui studiare? Come hai fatto a prepararti al meglio?
Beh, quando si tratta di un master non si dà mai nulla per scontato: si vanno a ricercare sempre le particolarità e le cose più tecniche possibili. Quando però non esiste uno storico, non si ha nemmeno una base sulla quale studiare: è tutto nuovo, è tutto più complesso. Ho usato molto il web, benché spesso si trovino più versioni delle stesse cose; mi sono rivolto ai consorzi, e ancora di più ai libri di testo. Ho letto interi libri, alle volte per ricavarne solo poche informazioni, ma ribadisco: quando non si ha uno storico e si conosce la complessità di un master non ci si può permettere di dare niente per scontato. La parte fondamentale penso sia sempre l’assaggio, per capire meglio le diverse sfaccettature ed espressioni del territorio.
Quali sono i vini a base di negroamaro che più ti hanno impressionato?
Ho trovato estrema coerenza con i vini premiati dalle guide, ma ancora di più con piccole espressioni territoriali come il Brindisi Rosso Riserva Jaddico di Tenute Rubino, Diciotto Fanali Rosato di Apollonio, e sono rimasto strabiliato dalle espressioni in stile tradizionale di Eloquenzia rosso e Girofle Rosato Controcorrente di Garofano.
Come spiegheresti a un curioso le differenze tra negroamaro, primitivo e nero di Troia?
Sono tre espressioni di un territorio con genetiche differenti ma un filo conduttore unico: la freschezza. La nostra mente non pensa subito alla freschezza quando si parla del sud Italia; si pensa che quella parte della nostra penisola possa dare solo vini di estrazione e di profondità. Invece questi tre vitigni sono, allo stesso modo, adatti anche a versioni rosate e spumeggianti.
Nel Negroamaro l’estrema freschezza gli dà modo di esprimersi sia da solo sia in blend, per avere più rotondità, sia nei rossi sia nelle profumatissime versioni rosate.
Di Primitivo non si può parlare senza specificare che non è uguale per tutta la regione: l’area di Manduria dà vini più caldi, carnosi e rotondi; quella di Gioia del Colle più snelli e longevi, oltre che di grandissima bevibilità.
Il Nero di Troia è un gioiello da molti ancora non completamente esplorato e compreso. Anticamente veniva prodotto in bianco, poi il tempo ci ha aiutato a capire come la versione in rosso fosse la più indicata: grandissime doti estrattive e un potenziale evolutivo più unico che raro.
Vivi in Romagna. Come descriveresti la tua regione dal punto di vista vinicolo? Il Sangiovese mostra notevoli miglioramenti, e poi c’è il fenomeno Albana.
Sono innamorato del vitigno sangiovese perché, come detto prima, è il vitigno che ha acceso la mia scintilla. La versione, o per meglio dire, le versioni romagnole, sono differenti. In terra di Romagna si ha una divisione in sottozone basate esclusivamente sul vitigno: questo già dice tanto. Senza scendere nel dettaglio delle caratteristiche e delle differenze di cloni: riusciamo ad avere sensazioni olfattive più o meno concentrate semplicemente spostandoci di pochi chilometri. Non è un cosa strabiliante? Per me è incredibile.
L’Albana, oltre a essere stata la prima DOCG bianca in Italia, ha mille e una sfaccettatura, anche grazie agli stili adottati negli ultimi anni dagli stessi produttori. Il loro scopo era portarla non solo nelle tavole dei ristoranti ma anche nelle case, aiutando a capire meglio un vino che la tradizione ci ha presentato solo in versione dolce. Molti, purtroppo, sono rimasti con quella convinzione, ma il sommelier oggi può vantare un importantissimo ruolo nel divulgare i pregi di questo meraviglioso vitigno.
Una scommessina sul Trebbiano di Romagna? Dicci la tua.
Penso che il Trebbiano, come tanti altri piccoli vitigni autoctoni a bacca bianca e rossa della mia regione, abbia solo bisogno di più fiducia. Conosco tanti produttori che lo vinificano con estremo rispetto e semplicità, esaltando gli aspetti di eleganza e di grande potenza che il vitigno ha incastonato nel codice genetico. Io ci credo, ci ho sempre creduto, e quando ci sarà il suo exploit sarò qui per poterlo valorizzare al meglio.
Ci sono produttori che ami particolarmente?
Vi sono tantissimi produttori che a mio avviso hanno fatto la storia del vitigno, ognuno in maniera differente, magari semplicemente con un tassellino. Penso che il bello, il valore aggiunto di un territorio, sia proprio questo: il lavoro, la collaborazione costante e continua verso la stessa direzione, con il solo intento di valorizzare e portare a conoscenza nazionale e internazionale una zona geografica o un vitigno.
Per i più curiosi. Ti ricordi quali domande ti hanno proposto? Quali abbinamenti sono stati oggetto della prova?
Abbinare a un menù di tre portate tre Negroamaro provenienti da tre zone differenti. La seconda domanda, sempre in semifinale, richiedeva l’abbinamento di un solo vino a tutto pasto, motivando la scelta. A fare la differenza in quella prova prenso sia stata la scelta di un Salice Salentino Doc di un’azienda di Novara: da tempo, per passione del titolare (scomparso pochi anni fa) selezionava le uve direttamente dal Salento e le vinificava per la commercializzazione nel Nord Italia. Il vino si chiama La canestra; l’annata era la 1978. Ho voluto giocare con le temperature, servendolo prima più fresco a 11°C, fino ad arrivare a 17°C per il secondo; questa cosa alla giuria è piaciuta molto.
Qual è il tuo prossimo obiettivo come sommelier AIS?
Beh al momento, trovo importante mettermi a disposizione di AIS Puglia per eventi inerenti al vitigno ed alla sua divulgazione nelle altre regioni, sicuramente non smetterò di studiare e di cimentarmi in nuovi concorsi.
Gherardo Fabretti