Il profumo del vino italiano
Durante il Concorso Miglior Sommelier d'Italia Premio Trentodoc 2022, il professor Luigi Moio ha tenuto un'approfondita conferenza su biodiversità e profumi del vino italiano.
Durante il Concorso che a Sorrento ha eletto Alessandro Nigro Imperiale di AIS Puglia Miglior Sommelier d’Italia Premio Trentodoc 2022, il professor Luigi Moio, già professore ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II e presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, ha tenuto un’approfondita conferenza su biodiversità e profumi del vino italiano.
Ogni regione un paese
La ricchezza geologica, le centinaia di vitigni, i paesaggi, le tecniche di vinificazione: se il vino è la sintesi liquida di un territorio, le regioni italiane possono a ben diritto rappresentare, ciascuna, un paese nel paese. Collocata tra il trentesimo e il cinquantesimo parallelo, nella zona più adeguata alla viticoltura, l’Italia è una nazione traboccante di biodiversità, in cui due terzi e oltre sono composti da monti e colline, luoghi ideali per ospitare filari d’uva.
L’estetica dell’olfatto
Se produciamo vino da migliaia di anni – ha continuato il professor Moio – è pur vero che lungo questa lunga sequenza temporale è mutato il nostro approccio alla bevanda. Se per molto tempo è stato l’alcol a costituire il nucleo valoriale del vino, e il raggiungimento dell’ebbrezza (se non dell’ubriachezza) l’unico scopo alla base della fermentazione delle uve, più di recente, grazie all’ampliamento delle conoscenze e degli strumenti a disposizione, si è diffuso un approccio diverso, fondato su una estetica diversa, sulla valorizzazione dell’olfatto e del gusto come strumenti di individuazione di vitigni e territori differenti.
Solisti e orchestrali
Il perfezionamento delle capacità sensoriali, e l’impiego di tecnologie sempre più avanzate, ha permesso di distinguere, dal punto di vista olfattivo, i vini solisti dai cosiddetti vini orchestrali. L’Italia, ad esempio, paese di santi, poeti e navigatori, è patria soprattutto di vini orchestrali, con buona pace dei Pavarotti, Caruso, Gigli o Corelli. Né un male né un bene, secondo Moio; solamente un dato di fatto. Se nei vini tenorili il rischio è l’eccesso di protagonismo (immaginate un Cabernet-Sauvignon dalla pirazina troppo esuberante, o un’eccesso di tioli volati in un Sauvignon Blanc), negli orchestrali – com’è facile immaginare – i guai provengono dall’eventuale mutismo di una parte dei musicisti.
Il riscaldamento climatico
Dei protagonismi tenorili e del silenzio di una parte del complesso può essere responsabile il cambiamento climatico, capace, soprattutto negli ultimi anni, di omologare territori e vitigni una volta maggiormente distinguibili. Il tempo di maturazione dei grappoli si fa sempre più breve; gli aromi vanno degradandosi, i pH corrono sempre più verso l’alto, favorendo le intrusioni dell’ossigeno. In Bordeaux – ricorda il professore soffermandosi sulle acidità – il pH è cresciuto fino al 4.1, consegnando alla bottiglia vini già vecchi, e dunque omologati.
La divergenza tra etica ed estetica
L’ultimo argomento affrontato prima della degustazione è stato quello dei produttori che pur rispettando coscienziosamente i principi etici di una buona conduzione agronomica ed enologica hanno messo da parte quelli estetici, consegnando ai consumatori etichette dalle caratteristiche organolettiche discutibili, con difetti che contribuiscono a omologare il panorama enologico italiano.
La degustazione
Al termine della lectio, i degustatori dell’Associazione Italiana Sommelier, in compagnia del professor Moio, hanno commentato dieci bottiglie che rappresentano una sorta di summa della biodiversità vinicola del Paese.
Roero Arneis Bricco delle Ciliegie 2021 – Giovanni Almondo. Degustato da Mauro Carosso (AIS Piemonte), l’arneis rappresenta un felice caso di sinergia fra territorio, cultura e paesaggio. Il suo nome deriva dal piemontese, e in italiano è traducibile come arnese, nel senso metaforico di monello, di bambino discolo (“un bell’arnese”) essendo i suoi risultati discontinui e raramente prevedibili. Zona sabbiosa, tendenzialmente più asciutta della vicina Langa, il Roero, fino agli Sessanta, ha destinato le sue uve arneis alla produzione di vino dolce, in sostituzione del moscato, qui raramente coltivato. Oggi, con otto milioni e mezzo di bottiglie, rappresenta il vitigno a bacca bianca più importante dell’area. Pur dotato di scarsa acidità, riesce ad affrontare, in certuni casi, un minimo di evoluzione in bottiglia, come accade a questo esemplare, il cui vigneto si trova nella zona di Montà d’Alba. Non solista ma orchestrale, ha fatto dei propri toni dimessi la sua forza: profumi di fiori di campo e di mela poco matura; alcolicità garbata e buona freschezza. La sua dotazione tiolica lo avvicina un po’ al Sauvignon.
Soave Classico La Froscà 2020 – Gini. Degustato da Gianpaolo Breda (AIS Veneto), è il rappresentante di una delle denominazioni più importanti del Veneto, il Soave appunto, e prodotto con l’impiego di garganega, terzo vitigno più coltivato in regione dopo glera e pinot grigio, allevata con sistema tradizionale a pergola. Al naso porta con sé indizi della fermentazione e maturazione in legno, per cedere poi a sentori tipici della zona vulcanica in cui crescono le uve, a Monteforte d’Alpone. Progredisce elegante al palato, con sentori fruttati, ammandorlati e minerali. Le sue caratteristiche lo avvicinano allo chardonnay.
Colli di Luni Vermentino Fosso di Corsano 2021 – Terenzuola. Degustato da Marco Rezzano (AIS Liguria), nasce a Fosdinovo, in Lunigiana, le cui vicende storiche, legate alla famiglia Malaspina, lo hanno legato alla provincia toscana di Massa – Carrara. Un Vermentino che vuole “sentire” il mare, le cui uve sono allevate sulla riva sinistra del fiume Magra (nelle Alpi Apuane), su un terreno argilloso e ricco di ferro ferroso, rivolto in direzione della piana di Sarzana. Al naso emerge la parte vegetale di erbe aromatiche, sensazioni di agrume maturo e una netta evidenza di cherosene.
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Gaiospino 2020 – Fattoria Coroncino. Degustato da Stefano Isidori (AIS Marche), il vino proviene da una cantina fondata nel 1981, tra le prime a lavorare per conferire al verdicchio una fisionomia riconoscibile. Da terreni calcarei e marnosi, molto ricchi, le uve, sottoposte a fermentazione malolattica (di cui si trova evidenza nelle note di caramella mou), regalano un vino dai sentori di fiori bianchi, sambuco e anice. Al palato, grandissima eleganza e una bilanciata freschezza gustativa.
Greco di Tufo Giallo d’Arles 2021 – Quintodecimo. Degustato da Nicoletta Gargiulo (AIS Campania), nasce a Tufo, in contrada Santa Lucia, nella zona più propizia per la coltivazione delle uve greco. Noto come “il bianco vestito di rosso”, per la sua ricca materia colorante, questo Greco è una delle versioni più nobili ed eleganti della denominazione. Al naso si fondono fiori, frutta e mineralità. All’assaggio l’acidità è sovrana, arricchita da una appagante sapidità.
Etna Bianco Contrada Calderara – Cottanera. Degustato da Franco Baldacchino (AIS Sicilia), ci troviamo sul versante nord dell’Etna, a Castiglione di Sicilia, 700 metri sul livello del mare, dove la famiglia Cambria produce vino da quasi sessant’anni. Un campione che profuma di cedro, limone e pietra pomice, punteggiato da sbuffi salmastri. In bocca sapido e fresco, indugia a lungo lasciando dietro di sé l’eco della sua forza acida.
Langhe Nebbiolo 2020 – Cavallotto. Degustato da Mauro Carosso (AIS Piemonte), viene realizzato da una storica azienda di Castiglione Falletto, dalle vigne più giovani del bricco Boschis. Vinificato con procedura tradizionale, dopo una lunga macerazione, racconta al naso di piccoli frutti rossi, tostature e tracce mentolate tipiche del vitigno, analogamente ad aglianico e sangiovese. Rigoroso ed essenziale al palato, con un tannino mai estratto oltre il necessario.
Rosso di Montalcino Ginestreto 2020 – Fuligni. Degustato da Nicola Bonera (AIS Lombardia). Prodotto con l’uso di legni meno impegnati di quelli destinati alla produzione del Brunello, profuma di drupa di ciliegia e prugna, canfora ed eucalipto. In bocca il tannino è garbato, e la freschezza è palpabile.
Montepulciano d’Abruzzo Mammut 2018 – Cascina del Colle. Degustato da Angela Di Lello (AIS Abruzzo), proviene da Villamagna, un piccolo paese della provincia di Chieti dove si concentra un numero tale di importanti aziende da essergli valso, nel 2011, l’attribuzione di una propria denominazione. A base di uve montepulciano, il vino, prodotto da uve in regime biologico, fedelmente al suo nome è possente e maestoso; come la sua terra sa essere allo stesso tempo forte e gentile. Al naso emergono le note classiche del montepulciano, come confettura d’uva e radice di liquirizia, racchiuse da una salda compattezza olfattiva.
Irpinia Aglianico Terra d’Eclano 2020 – Quintodecimo. Degustato da Tommaso Luongo (AIS Campania), rivela un naso stratificato e profondo, di marasche in confettura, pepe nero, tabacco e noce moscata. In bocca è caldo e tannico, di grande persistenza, all’insegna di toni ferrosi e tostati.
Etna Rosso Passorosso 2019 – Passopisciaro. Degustato da Camillo Privitera (AIS Sicilia), nasce dalla genialità creativa di un grande produttore, Andrea Franchetti, che negli ultimi vent’anni ha rivoluzionato l’immagine del vino etneo, e non solo, comprendendone a fondo le potenzialità. Nato da uve provenienti da vari appezzamenti e diverse altitudini, è capace di sintetizzare l’idea di vino del suo creatore con l’asperità del vitigno da cui nasce, il nerello mascalese. Un grande vino orchestrale.
Primitivo di Manduria Raccontami 2019 – Vespa Vignaioli. Degustato da Giuseppe Baldassarre (AIS Puglia), affonda le sue radici nella vicinanza al mar Ionio, da cui dista solo pochi chilometri. Precoce per maturazione, allevato a bassa altitudine, non rivela in ogni caso eccessi di concentrazione ma è sensibile all’influenza dell’ossigeno una volta vinificato. Al naso apre con i tipici riconoscimenti di ciliegia, marasca e amarena, per poi allargarsi a cenni di tabacco, chiodi di garofano e cannella. L’assaggio smentisce il luogo comune che vorrebbe incatenare il Primitivo sempre e comunque a una smodata esuberanza: pur essendo “un vino che si mastica”, è equilibrato, dotato di un tannino carezzevole, di freschezza e sapidità arricchita da un’ottima eco fruttata.
(Tutte le foto a cura di Vito Fusco) Instagram @vitofusco | Facebook: https://www.facebook.com/fuscovito/ .