Arrighi: il vino che viene dal mare.
Antonio Arrighi è l’orgoglioso proprietario di 12 ettari (di cui 8 vitati) alle spalle di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba. Dinamico e curioso sperimentatore, saltella dalle anfore alle ceste di vimini, dentro le quali immerge le sue uve aleatico in mare, come facevano i Greci di Chio. Il suo originale progetto, chiamato Vinum Insulae, portato avanti grazie alla collaborazione con Attilio Scienza, dell’Università di Milano, è stato raccontato a Vinitaly 2018, quando l’Associazione Italiana Sommelier (di cui Antonio è il delegato elbano) ha dedicato un evento ai vini sottomarini. Antonio, in questa intervista, ripercorre la sua storia.
5.000 ettari vitati all’Elba ancora nel 1800. Edmond Dantès, fosse esistito, avrebbe trovato ancora tanta uva sull’isola. Come siamo arrivati ai soli 300 ettari di oggi?
L’isola d’Elba, nella prima metà dell’Ottocento, era il principale produttore di uva della Toscana, con 32 milioni di viti coltivate ad alberello, sistema ereditato dagli antichi greci (10.000 ceppi per ettaro). Grazie anche ai francesi, di cui l’isola era territorio metropolitano, l’esportazione arrivava al sud della Francia, in Liguria, nella costa Toscana e nello Stato Pontificio. La viticoltura era la principale attività dell’isola.
Con arrivo del turismo, negli anni Sessanta, inizia il progressivo abbandono dei terrazzamenti vitati non meccanizzabili, il cui lavoro era molto duro e solo manuale.
Negli anni Ottanta ci fu una svolta importante: dopo aver raggiunto il minimo storico, con soli 100 ettari, si iniziò il rilancio della viticoltura con nuovi impianti di vitigni autoctoni e internazionali fino ad arrivare agli attuali 300.
Anche la sua azienda, racconta sul sito, negli anni Settanta si era ridotta a due ettari; oggi ne avete guadagnati altri quattro. Cosa è cambiato?
Oggi siamo a circa 8 ettari vitati, di cui 7 in produzione, su un’estensione aziendale di 12 ettari. L’azienda, di proprietà della mia famiglia da quattro generazioni, produceva anche latte frutta e ortaggi. Negli ultimi venti anni mi sono dedicato unicamente allo sviluppo del territorio, con sperimentazioni e innovazioni, e queste hanno comportato un aumento di ettari e produzione.
Oltre ai vitigni autoctoni, avete avviato una sperimentazione decennale con la Regione Toscana e il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura. Avete impiantato allora Chardonnay, Manzoni, Viognier, Syrah, Sagrantino e Tempranillo. Perché?
Dal 1990, con la sperimentazione di vitigni non autoctoni, abbiamo iniziato a recuperare terrazzamenti con storici muretti a secco e a reimpiantare vigneti, riportando l’armonia del paesaggi del ‘800. Tra i molti vitigni giunti alla fine della sperimentazione ne abbiamo selezionati e reimpiantati 6 dei 24 alloctoni presenti, quelli che nei 10 anni di vita avevano dimostrato un particolare adattamento al nostro ambiente pedoclimatico.
Lei è famoso anche per la passione dei vini in anfora. Perché questa scelta?
Tutto è iniziato circa dieci anni fa, grazie al supporto dell’enologa Laura Zuddas del gruppo Matura.Incuriosito dai metodi di lavorazione e trasporto degli antichi Romani, decisi di testare l’evoluzione del vino in terracotta, e non più solo in legno o acciaio. Il vino per evolversi ha bisogno di respirare: l’acciaio è un ambiente riduttivo, che non favorisce la microssigenazion; al contrario sia il legno (barrique) che la terracotta, essendo materiali porosi, favoriscono questo scambio, permettendo al vino di maturare, evolvere. Il legno, però, infonde nel vino svariati aromi, mentre l’argilla è neutra; di conseguenza la microssigenazione in anfora esalta esclusivamente i profumi e i sapori, così come i varietali delle uve utilizzate .
Dopo lunghe sperimentazioni, prove, macerazioni estreme, utilizzo di argille e cotture diverse, pensiamo di avere raggiunto una buona esperienza sull’utilizzo della terracotta. Dal 2016 esce anche un bianco, Hermia, viognier 100% con lunga macerazione delle bucce in anfore da 800 litri. Lo abbiamo dedicato allo schiavo cantiniere realmente esistito 2100 anni fa: curava la cantina della villa rustica romana del 100 a.C., e stampigliò il suo nome accanto alla figura di un idelfino in tutte le enormi anfore (dolia) da 1500 litri ritrovate durante gli scavi nella rada di Portoferraio all’isola d’Elba.
Al Vinitaly 2018, durante l’evento organizzato da AIS, ha introdotto un progetto innovativo: Vinum Insulae. Ce lo può raccontare?
Il progetto di Nesos, il vino marino: un esperimento scientifico che ci porta indietro nel tempo, alle imprese enologiche dei Greci dell’isola di Chio. Producevano vini “leggendari” che Varrone definiva “vini dei ricchi”. L’importanza scientifica di questo progetto, è sottolineata dal prof. Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’Università degli Studi di Milano, così come l’enorme fascino della coltura e della cultura della produzione del vino. A fare da cornice e scenografia la terra, le uve, il mare e i panorami dell’isola d’Elba.
Un esperimento interessante anche per i temi di sostenibilità e ambiente perché utilizza l’acqua salata come antisettico: un vero e proprio “ritorno al futuro”. L’esperimento si basava su una ricerca storica di Scienza su i segreti del vino greco di Chio, supportata dell’Università di Pisa. Si trattava di immergere l’uva (molto simile alla nostra ansonica) per qualche giorno in mare, in ceste di vimini (nasse) per eliminare la sostanza cerosa esterna, detta pruina, e ottenere un appassimanto più veloce e riuscire a mantenere nell’uva piu aromi e sostanze. Dopo il passaggio al sole dell’uva, stesa sulle cannucce, arriva la macerazione a contatto con le bucce, in piccole anfore molto simili a quelle famose di Chio.
Il professor Scienza ha seguito l’esperimento in ogni sua fase, e insieme abbiamo provato a riprodurre questo vino mitico. Un esempio di archeologia sperimentale, ha dichiarato il professore, che ci consente di ritornare alle origini, di capire perchè questo vino è più famoso degli altri, e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi.
Pensate a una futura commercializzazione?
Pensiamo proprio di si. Considerando le richieste e la curiosità che ha suscitato questa ricerca, e vista l’esperienza della prova, ci stiamo attrezzando per migliorare e aumentare la produzione.
Sempre a proposito del progetto Vinum Insulae, avete realizzato un cortometraggio di 15 minuti, e avete vinto due premi. Il vino, dunque, può essere affrontato anche in senso artistico?
L’esperimento è stato documentato dal regista Stefano Muti e prodotto da Cosmomedia. Vinum Insulae, il corto di 15 minuti, è stato presentato al più antico festival sulla vite e il vino, l’Oenovideo di Marsiglia, vincendo, tra 144 filmati presentati provenienti da 17 nazioni, il premio come miglior cortometraggio e quello della Revue des Oenologues. La premiazione si svolgerà a Parigi il 14 ottobre. Un esempio di archeologia sperimentale, ha dichiarato il Professor Scienza, che ci consente di ritornare alle origini,di capire perchè questo vino è più famoso degli altri e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi.
La sperimentazione nel mondo del vino ha sempre avuto un suo fascino, la ricerca storica e artistica ci porta allo scultore di Chio, Prassitele, creatore della prima scultura al mondo di nudo di donna e della forma della famosa anfora di Chio, plagiata dagli Etruschi durante le numerose soste all’Isola d’Elba, di ritorno dalla rotta commerciale Chio – Marsiglia per rifornirsi di ferro nei numerosi giacimenti isolani.
Come vede il futuro della viticoltura sull’isola d’Elba?
Mi auguro che con la sperimentazione, che ha rivelato l’Elba e la sua viticoltura a livello internazionale, si torni a parlare della secolare vocazione vitivinicola elbana, così da riconquistare lo spazio che merita come produzione di qualità. Il primo obiettivo è potenziare il nostro consorzio: si muove con molte difficoltà, come tutte le piccole associazioni.
Difficile organizzare eventi sul vino all’Elba? Quanto interessa il mondo del vino agli addetti ai lavori? E ai turisti?
I sommelier dell’Elba ci hanno sempre creduto.
La delegazione AIS dell’Elba ha raggiunto i 33 anni di vita. È molto attiva sul territorio ed è una delle poche realtà che promuove in Italia l’enogastronomia elbana, grazie anche alle sinergie con le delegazioni presenti sul territorio nazionale. Organizza ogni anno l’evento Elbaleatico, un grappolo di storia, rassegna dedicata al principe dei vini dell’isola, l’unico aleatico del paese che si fregia della DOCG.
L’industria del turismo ha sostituito la viticoltura come principale attività degli elbani. Le oltre 2 milioni e 500 mila presenze annuali sono una vetrina importante per le nostre eccellenze e assicurano grande visibilità per chi vuole far apprezzare e visitare le realtà vitivinicole presenti sul territorio. Ad oggi il principale mercato dei 18 produttori è quello locale: oltre l’80 percento delle circa 600.000 bottiglie prodotte annualmente di vino viene venduto sull’isola. La nuova legge sull’enoturismo ne migliorerà sicuramente la visibilità e il commercio.
Gherardo Fabretti