Alessia Bizzarri e l’attività dell’AIS in Belgio e in Lussemburgo
Da Roma passando per Francoforte sul Meno fino in Belgio e in Lussemburgo. Diversi sono stati gli spostamenti di Alessia Bizzarri, referente del Club AIS Bruxelles, che recentemente ha portato a termine un primo livello nella capitale del Granducato di Lussemburgo, un piccolo Paese nel cuore dell’Europa, dove la cucina e i vini italiani sono molto apprezzati. Ma facciamo qualche passo indietro.
Alessia, in che modo sei venuta a conoscenza dell’AIS?
Ho conosciuto l’AIS tramite alcuni amici. Già nel 2001 partecipavo con passione alle serate che organizzava un mio amico intorno al vino, alla sua storia. Da lì mi sono interessata al suo percorso in AIS e ho cominciato a sviluppare l’idea di seguire la formazione io stessa.
Quando è nata l’intenzione di proporti per costituire il Club AIS Bruxelles per coprire i territori di Belgio e Lussemburgo e com’è scaturita questa idea?
Dopo essermi trasferita all’estero per lavoro, mi sono resa conto che seguire il mio sogno formativo non era facile: l’AIS non aveva una sede ufficiale dedicata alla formazione e alla divulgazione a Francoforte, in Germania. Così lì ho sperimentato per la prima volta la creazione di un’associazione (Oenology Section) come “dopolavoro” della Banca Centrale Europea. Tramite l’associazione, che in un anno ha superato i 500 iscritti attivi in vari eventi, sono riuscita a portare l’AIS in casa tedesca e formare i primi sommelier AIS della zona. Quindi, così come fatto in precedenza in Germania, l’AIS mi ha onorato e ha accettato la mia proposta di riproporre l’esperienza anche in Belgio e in Lussemburgo, dove però il mercato è dominato dai vini di cultura francese. Una strada molto in salita.
Dal corso organizzato presso la Banca Centrale Europea hai tratto l’esperienza che ti è servita per avviare il primo livello in Lussemburgo? Cos’hai portato con te dell’esperienza in Germania?
Dell’esperienza precedente ho portato con me gli errori da evitare (per esempio, non farsi prendere dall’entusiasmo e darsi più tempo per studiare il mercato e l’audience). Ma anche lezioni positive: dare giusto spazio ai social, fare piani accurati, scegliere le risorse giuste non solo per competenza, ma anche per passione. E infine curare con gli italiani del posto la strategia di marketing, che all’estero deve essere diversa.
Come è stato muovere i primi passi per coinvolgere nuovi iscritti a frequentare un corso in un Paese come il Lussemburgo in cui, come hai detto tu, la l’approccio al cibo e al vino è culturalmente distante dall’Italia?
Il Lussemburgo mi ha accolto a braccia aperte. In primis il locale, Come à la Maison, che mi ha spalancato le porte, offrendomi la logistica necessaria, e il suo staff, disponibile e di fondamentale supporto. Certo, i primi passi e questo primo livello sono stati un po’ incerti e il Covid non ha aiutato, ma ce l’abbiamo fatta. Tra il passaparola fra gli italiani all’estero e i social abbiamo cominciato quest’avventura in 25 e sono contenta dell’atmosfera creata. Tra i futuri sommelier figurano non solo appassionati, ma anche veri e propri addetti ai lavori, in cerca di una qualifica professionale riconosciuta, e questo conferma la stima nei confronti dell’AIS. Per ora, ci siamo dedicati al corso in italiano, dunque, abbiamo solo due stranieri in classe, ma oserei dire che l’approccio al vino del cliente lussemburghese si distingue per la distanza fra il prodotto e il consumatore: per lui sono storie di un luogo lontano. A parte le rive della Mosella, il vino non è nella loro cultura: piuttosto del vino rosso del nonno, c’è la birra, più economica e accessibile. Il vino definisce, quindi, uno status più alto.
Cosa ti ha più colpito della ristorazione lussemburghese e del commercio dei vini in questo Paese?
Il Lussemburgo, così come il Belgio, subisce inevitabilmente l’influenza francese, ma gli italiani hanno una marcia in più nella varietà dell’offerta. Pecchiamo, però, di strategia di marketing e nel saperci vendere e rinnovare. Il Lussemburgo è cosmopolita, ospita una percentuale enorme di expats, quindi è, come Bruxelles, un hub pubblicitario enorme. Il cliente lituano che apprezza un vermentino lo dirà all’amico in ufficio ma anche al padre e sorella che sono a casa, e questo funziona da megafono in Lussemburgo, così come in Lituania. E il Lussemburgo, grazie a giovani imprenditori italiani, ha colto il messaggio e sta sperimentando offerte fuori dal tipico cliché. E quello che mi propongo come AIS è proprio supportare le eccellenze e offrire un riferimento a chi si vuole avvicinare alla cultura e al prodotto italiano oltre al solito Barolo (perdonatemi!). I mercati europei sono pronti ad accoglierci, sia come formatori, sia come produttori. Il mercato lussemburghese presenta caratteristiche peculiari: in ogni nazione il cliente, sia perché esposto solo ad alcune realtà italiane già affermate sia perché cresciuto in una cultura diversa, ha dei gusti diversi dal cliente italiano, pur avendo lo stesso profilo (di età, di estrazione sociale, economico). Bisogna certo distinguere i numerosi expats italiani, che hanno un palato raffinato e ricercato e aiutano a diffondere le perle meno conosciute del nostro panorama enogastronomico. Questi vanno alla ricerca di vini pugliesi, abruzzesi e siciliani. Sulla questione cibo, invece, indipendentemente dalle “radici”, è inevitabile che la pizza, così come la pasta, sia l’attrazione speciale. Mentre per quel che riguarda la clientela locale, cresciuta tra le cantine di Riesling, sono molto apprezzati i vini già affermati nei mercati stranieri come il Barolo, l’Amarone e il Chianti. Per quel che riguarda i bianchi, invece, il cliente belga o lussemburghese si sofferma sul vitigno più che sul vino e il suo territorio: quindi pinot grigio e chardonnay. La clientela straniera che sceglie il bianco cerca dei bianchi fruttati, leggeri. Per le occasioni speciali, invece, lo Champagne vince ancora su un Franciacorta o su un Trentodoc… ma per poco speriamo!
Com’è stato questo primo livello in Lussemburgo e quali sono le impressioni che hai raccolto dai corsisti?
Per me è stata una splendida esperienza, una rinascita doppia. Dopo il Covid e il trasferimento dalla Germania, il mio entusiasmo si era un po’ addormentato, ma questa occasione mi ha rigenerato. I ragazzi sono contenti e interessati e (incrocio le dita) hanno confermato l’intenzione di proseguire. Quindi, speriamo che questo inneschi un effetto valanga e ci consenta di offrire più eventi e vetrine per i vini italiani.
Ci sono episodi significativi e colleghi all’interno dell’AIS che meritano di essere citati?
C’è il mio mentore, Michele Mastropierro, che mi ha supportato passo passo nei miei dubbi e nelle mie incertezze. C’è Roberto Bellini che ci è sempre stato quando bisognava risolvere un problema velocemente e Andrea Dani con il quale abbiamo scambiato idee e considerazioni riguardo il panorama estero. E poi tutto il personale della sede centrale. Di questi, io ho visto solo Michele e Andrea, gli altri mi hanno dato supporto e fiducia senza mai nemmeno incontrarli di persona: è stato un grande stimolo. Un aneddoto che ricordo è legato alla difficoltà di svolgere una lezione da remoto per via delle restrizioni ai viaggi a causa del Covid: l’audio era pessimo in classe e abbiamo dovuto chiedere al DJ del locale notturno accanto di prestarci le casse per la lezione: credo non abbiano mai avuto un utilizzo così didattico!
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e i programmi del Club AIS Bruxelles in Belgio e in Lussemburgo?
Gli obiettivi a breve sono i corsi, a Lussemburgo, la capitale, e a Bruxelles. In quest’ultima città trovare un locale adatto e fornitori di vino italiano non è facile: i primi sono molto legati ad altre associazioni e fanno fatica a svincolarsi, mentre per i vini si rischia di usare sempre la stessa offerta e non sono sufficienti per un corso di secondo livello, per esempio. Stiamo pensando alla collaborazione con l’Ambasciata Italiana per l’organizzazione della Settimana Italiana in Belgio e pensavo di proporre alle rappresentanze delle regioni italiane dei progetti ed eventi a scopo divulgativo per i prodotti locali, magari di nicchia, che fanno fatica ad affermarsi all’estero. Questo aiuterebbe anche a far conoscere la nostra figura professionale, al contempo. In un lungo termine, il sogno sarebbe riuscire a portare il ciclo di formazione completo qui a Bruxelles, per riuscire a creare un ecosistema autosufficiente, efficiente e dinamico. E fare di questo un polo di riferimento e offrire opportunità a tanti ragazzi.
Cosa ti senti di consigliare a un potenziale corsista che sta valutando di iscriversi e di seguire i corsi AIS in Belgio o Lussemburgo?
Suggerisco di non essere timido e contattarci: con me lavora anche Giuseppe Bonaventura, ex delegato di Ragusa, e due ragazzi appena “laureati” nella sede di Torino, Eleonora Luciani e Matteo Ripamonti. E la famiglia si sta allargando: è una sorta di start-up, c’è posto per tutti e si cresce insieme. I corsi al momento sono stati in italiano, ma siamo in grado di offrirli anche in inglese e in alcuni casi anche in francese. Il fatto che i ristoratori e gli chef offrano come bonus ai collaboratori dei corsi AIS dimostra che sono i primi a credere in noi, nella nostra formazione e nelle porte che si possono aprire con un diploma AIS in tasca. Il livello di formazione offerto è alto e, in alcuni casi, aiuta anche il manager appassionato che deve sapersi districare nelle scelte dei vini per impegni sociali di livello. Ce n’è per tutti e ne vale la pena.
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